Ma che razza di Dio c'è nel cielo?
- Bruno Tarantino
- 31 mar 2020
- Tempo di lettura: 4 min
Aggiornamento: 1 apr 2020

A scanso di equivoci dico subito che il dio in cui credo non è il dio dei filosofi, non è il motore immobile né il demiurgo. Non è il dio delle religioni, strada umana, troppo umana che spesso si è arresa davanti al Mistero e si è fatta un dio a propria immagine e a propria somiglianza.
Il dio in cui credo è il Dio/Padre di Gesù. "Dio nessuno l'ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato": così l'evangelista Giovanni nel prologo del suo vangelo. Dalla incarnazione del Figlio si pone davanti alla nostra libertà la possibilità di dare credito a questa rivelazione o di non prenderla in considerazione. Io ho deciso di dare credito e la verifico in ogni istante della vita.
Ora il Dio narrato/testimoniato da Gesù non manda alcun castigo, non gode della morte del peccatore, è il Dio della penultima possibilità. In epoca di pandemia, come questa del covid-19, risorgono i profeti di una malintesa onnipotenza di Dio, gli amici di Giobbe sono sempre in agguato, risorgono in ogni epoca, e cercano di difendere l'operato di Dio. Dimenticano che l'unica onnipotenza esercitata dal papà di Gesù è quella dell'amore.
Ergo: questa pandemia non è un castigo di Dio.
Eppure Dio non può essere assente in questo momento, così come non è mai assente dall'orizzonte del cosmo e dell'uomo.
Occorre profezia per cercare di intus-legere dentro gli avvenimenti della storia la pedagogia del Padre. Ed è ciò che drammaticamente manca ai nostri giorni. Non si vedono profeti all'orizzonte. Analisti tanti, progettisti pure, ma mancano i profeti.
Questa strana quaresima forse è la prima vera quaresima che io sto vivendo. Non ho avuto modo di inventarmi miei fioretti per piacere a Dio. I fioretti mi sono stati suggeriti, o meglio, imposti dalla realtà. E la realtà non è mai negativa da quando il Verbo si è fatto carne a ha sposato la nostra debolezza.
L'impressione che ho, però, è che ci sia fretta di tornare ad una normalità, al "si è fatto sempre così e così è meglio". Arrivano continuamente suggerimenti su cosa è opportuno fare e cosa è meglio evitare (in un braccio di ferro tra stato e chiesa chiaramente percepibile nei comunicati stampa ufficiali).
Stiamo perdendo, a a mio avviso, una grande occasione di grazia.
Per quanto tempo ci siamo lamentati che la fede non veniva più trasmessa dalla prima agenzia educativa, cioè dalla famiglia. Io stesso in questi anni ho potuto vedere una crescente ignoranza religiosa nei bambini che iniziavano il percorso catechistico, segno che in famiglia non c'era alcuna attenzione al fenomeno religioso e all'educazione cristiana (a onor del vero anche alla fine del percorso questa ignoranza non era affatto debellata, segno anche questo di una modalità educativa o quanto meno di un linguaggio ormai superati).
L'impossibilità di una vita comunitaria secondo le consuete modalità più che metterci fretta per un ripristino dovrebbe aprire strade nuove. Perché non puntare, finalmente, a prendere sul serio il sacerdozio comune di tutti i battezzati? Cosa impedisce che si favorisca e si educhi alla preghiera in famiglia? I genitori nel momento delle loro nozze sono stati i ministri stessi del sacramento, perché questa ministerialità deve fermarsi a quel giorno?
Il libro dell'Esodo, al capitolo 12, dando le indicazioni sulla celebrazione della pasqua così scrive: "Il Signore disse a Mosè e ad Aronne nel paese d'Egitto: «Questo mese sarà per voi l'inizio dei mesi, sarà per voi il primo mese dell'anno. Parlate a tutta la comunità di Israele e dite: Il dieci di questo mese ciascuno si procuri un agnello per famiglia, un agnello per casa. Se la famiglia fosse troppo piccola per consumare un agnello, si assocerà al suo vicino, al più prossimo della casa, secondo il numero delle persone; calcolerete come dovrà essere l'agnello, secondo quanto ciascuno può mangiarne. Il vostro agnello sia senza difetto, maschio, nato nell'anno; potrete sceglierlo tra le pecore o tra le capre e lo serberete fino al quattordici di questo mese: allora tutta l'assemblea della comunità d'Israele lo immolerà al tramonto. Preso un po' del suo sangue, lo porranno sui due stipiti e sull'architrave delle case, in cui lo dovranno mangiare. In quella notte ne mangeranno la carne arrostita al fuoco; la mangeranno con azzimi e con erbe amare. Non lo mangerete crudo, né bollito nell'acqua, ma solo arrostito al fuoco con la testa, le gambe e le viscere. Non ne dovete far avanzare fino al mattino: quello che al mattino sarà avanzato lo brucerete nel fuoco. Ecco in qual modo lo mangerete: con i fianchi cinti, i sandali ai piedi, il bastone in mano; lo mangerete in fretta. È la pasqua del Signore!"
Che bella questa liturgia familiare. Il popolo di Dio ridiventa protagonista della storia della salvezza, attore e spettatore (il Concilio Vaticano II parla di "actuosa partecipatio" nel documento Sacrosantum Concilium al n. 14, intesa sin'ora come risposta a formule stereotipate tipo "e con il tuo spirito" - "sono rivolti al Signore" - "rendiamo grazie a Dio" a volte, a dire il vero, mi sembra di sentire - "rendiamo grazie e addio"). Non ci sarebbe più il falso problema della scarsità del clero, in quanto a quest'ultimo sarebbe riservata solo la parte prettamente sacramentale.
Troppo rivoluzionario? Sì. Così come era rivoluzionaria la vita, l'opera e l'insegnamento di Gesù. Utopia? Sì. Così come era utopia pensare di poter guarire qualcuno in giorno di sabato, così come era utopia la salvezza per coloro che non appartenevano al popolo di Israele, così come era utopia pensare ad una Vita dopo la vita.
Ma se non ora quando?
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