... nuove idolatrie (segue)
- Bruno Tarantino
- 27 apr 2020
- Tempo di lettura: 3 min

Confesso che la mia prima reazione al comunicato del Presidente del Consiglio del 26 aprile 2020 è stata di stizza. Non tanto per il contenuto del messaggio, quanto per il tono. E' passata l'idea di una benevola concessione concessa (sic) dal principe. Tradotto: Vabbè fate sti funerali con meno gente possibile e non rompete i coglioni (espressione già usata da don Lorenzo Milani in un suo scritto che io faccio mia, quindi non mi accusate di volgarità indegna di un prete).
Ma se si lascia parlare solo la pancia, senza accordarla con la mente e il cuore, allora il danno è inevitabile. Pancia, mente e cuore insieme possono fare sintesi.
Vi confesso ancora che stanotte sono riuscito a dormire tranquillamente (e non è poco di questi tempi) e stamattina era più sereno.
"Voglio ringraziare la Cei..." ha detto ieri il Presidente del C.M. Ma dal comunicato CEI uscito pochi minuti dopo si deduce che non c'era stato alcun accordo o, se c'era stato, non era quello emerso nella conferenza stampa. Delle due l'una: chi sta mentendo?
Ma poi in fondo il problema non è nemmeno questo. Il problema è una mancanza di fantasia e profezia. Ci è stato concesso di fare i funerali con un max di 15 persone, per esperienza sappiamo che questo non è ciò che è utile. Bene. Semplicemente si rifiuta l'offerta.
Nelle comunità parrocchiali, e ripeto nelle comunità parrocchiali che sono cosa ben diversa dalle parrocchie spesso accozzaglia di monadi indifferenti, non usa sola persona è passata da questo mondo a Lui senza una benedizione e senza la preghiera della comunità.
Lo vedo dai social. L'ho sperimentato nella mia comunità. Alla notizia di un fratello o di una sorella che varcava le porte della vita subito il tam tam parrocchiale (whatsapp, facebook, messaggi, telefonate, o le più tradizionali e mai superate campane) hanno invitato alla preghiera e alla solidarietà. In quanto parroco mi sono fatto portavoce di questa preghiera corale, comunitaria appunto, e ho benedetto la salma, la tomba e distribuito il pane della Parola per come era possibile. Certo le distanze, le mascherine, l'esiguo numero di partecipanti, la fretta delle agenzie di pompe funebri non favorivano quel clima di solidarietà (spesso di facciata) tipico di un funerale. Ma noi siamo chiamati ad andare oltre la realtà visibile per intravvedere ciò che è eterno.
Verso l'ideale si cammina, lo si costruisce giorno dopo giorno, nella fedeltà alle circostanze che la realtà ti pone. Gesù non ha mai perso tempo a recriminare circa i tempi difficili, ha semplicemente operato secondo le esigenze del Padre e dell'uomo.
Abbiamo idolatrato alcune forme a scapito di altre possibili, Stiamo facendo coincidere la presenza di Dio con le nostre stanche abitudini. Abbiamo così poca fede da pensare di dover essere noi a salvare Dio nel nostro tempo, nel nostro mondo. Mi sembra che per una tale pretesa Pietro fu aspramente redarguito da Gesù.
Arriverà il tempo di una ritrovata normalità e allora ci accorgeremo d'aver perso un'altra occasione di Grazia.
E mentre cercavo di mettere insieme questi pensieri ed affidarli a questa pagina (che non ha la pretesa di essere letta da chissà chi o da chissà quante persone ma vuole essere un semplice promemoria per me stesso, per inchiodare ciò che mi suggerisce il cuore) mi squilla il cellulare. Rispondo. E' un'amica che nel bel mezzo del discorso mi spara questa frase, tante volte sentita dalla bocca di suo padre: "Il modo migliore di voler bene a chi è morto è amare chi è vivo".
Che sia questa la firma di Dio per questi ondivaghi pensieri?
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